6 giugno 2010

Micromega! Clamorose rivelazioni! La Sindone è made in China

Un viaggio nel mistero, mille interrogativi, questioni che la scienza non sa spiegare nemmeno se pagata bene e in nero. Una leggenda che diventa realtà, una realtà che rimane leggenda. Davvero la Sindone custodita a Torino ha quasi duemila anni? E se sì, perché non ce lo dice Piero Angela che c’era? E se no, da dove viene? Perché L’Ikea smentisce anche se c’è attaccato lo scontrino? Da secoli la scienza si interroga su questo mistero. E’ ora di vederci più chiaro.

La Sindone di Torino, la più famosa, è un lenzuolo di lino lungo quasi quattro metri e mezzo (442 centimetri) e largo poco più di un metro (113 centimetri), il che induce gli storici a rivedere tutte le teorie sul basket fin qui note: nemmeno Magic Johnson aveva un lenzuolo così lungo, e tutti sanno quanto gli avrebbe fatto piacere. E’ fatta di lino tessuto a mano, il che per un certo periodo ha indirizzato le indagini verso la popolazione più abbiente e provocato alcune perquisizioni al Billionaire. Il fatto che non abbia gli angoli per ripiegarla sul materasso (come le lenzuola più moderne) induce a supporre che sia precedente al 1982, cosa che del resto soltanto un cretino poteva pensare.
Da anni la scienza si arrovella su questo manufatto, che da qualche tempo è ritenuto sacro dalla comunità cristiana. Non è stato sempre così, per la verità. Il primo papa che ne autorizzò l’esposizione al pubblico fu Clemente VII che nel 1390 emanò ben quattro bolle per dire che “la suddetta raffigurazione o rappresentazione non è il vero Sudario del Nostro Signore Gesù Cristo, ma una pittura o tavola fatta a raffigurazione o imitazione del Sudario”. Stiamo parlando di sei secoli fa, il papa era preoccupato di “far cessare ogni frode”, la Chiesa aveva molti beni materiali, non era costretta a far cassa vendendo biglietti e visite guidate, e soprattutto non era ancora stato inventato il marketing, per cui possiamo considerare quelle parole inaffidabili o almeno ingenue. Papa Giovanni Paolo II, invece, disse che si tratta di “una sfida per l’intelligenza”, ma a quei tempi la perniciosa secolarizzazione della società non aveva ancora preso il sopravvento, e ancora non era popolare il suduku, dunque anche questa affermazione va presa con le pinze.

In ogni caso, i pareri sono quasi concordi: la Sindone apparve per la prima volta a metà del XIV secolo, posseduta da un tale Goffredo di Charny che era andato a menare le mani in Palestina come andava di moda a quei tempi. Non c’erano ancora le scuole pubbliche, e quindi gli atti di bullismo si svolgevano in Terra Santa. Le scuole private esistevano, invece, e ne uscivano bulli che andavano alle crociate.  Goffredo regalò la Sindone ai canonici di Lirey, quindi se la riprese una sua erede, Margehrita di Charny, che la vendette ai duchi di Savoia. Era il 1453, e qui cominciano le dispute storiche: possibile che qualcosa di autentico sia passato per le mani dei Savoia? Conoscendo la sensibilità della dinastia, le macchie sul lenzuolo possono essere Nutella? Gli storici sono assai scettici, comunque pare siano stati loro a portarla a Torino. Resta il mistero – se si accetta che la Sindone sia il vero sudario di Cristo – su dove diavolo sia stata per mille e trecento anni prima di arrivare in Francia e di finire poi in mano ai Savoia, che con la loro nota perizia rischiarono anche di bruciarla in un incendio a Chambéry nel 1532. Secondo gli storici della monarchia italiana,m i Savoia non usarono la Sindone per foderare le poltrone dello yacht per un solo semplicissimo motivo: non avevano ancora lo yacht.
Secondo fonti accreditate, il lenzuolo veniva da Costantinopoli, il più grande deposito di reliquie del pianeta, il luogo da cui partivano pacchi per ogni angolo del mondo. Secondo un vecchio giornale del posto e dell’epoca (il Solis 24 Horae) il mercato delle reliquie era ai tempi assai fiorente e subiva forti oscillazioni a seconda dell’avanzata dei mori. In alcuni anni, in particolare, le dita dei santi triplicarono di valore per poi assestarsi ad un prezzo medio accessibile per ogni monastero europeo. Ma non fu tanto l’oscillazione dei prezzi a turbare il mercato, quanto il fenomeno incontrollato della pirateria, per cui oggi troviamo in giro per le chiese del mondo anche tredici-quattordici dita dello stesso santo, quattro centinaia di chiodi della croce, crani, denti, mandibole di beati che probabilmente in vita avevano sei mandibole e 128 denti. Come vedete, cose che la scienza non può spiegare, ma la questura di Costantinopoli sì: allora come oggi giovani nordafricani occupavano i marciapiedi vendendo finte reliquie a poco prezzo, merce che invase poi l’occidente con una forma di concorrenza sleale assai perniciosa. Roma ladrona, ovvio, lasciava fare, ma restano ancor oggi alcune incongruenze, come santi con due dita indici nella mano destra, uno bianco e uno nero, oppure devoti con tre femori, per non dire dei cinque nasi attribuiti tutti allo stesso santo, disseminati per il mondo, alcuni dei quali in plastica recanti la scritta “made in China”.
Tornando alla Sindone essa reca, come tutti sanno, alcune macchie perfettamente simmetriche, dovute alla piegatura, all’incendio e forse ai pennarelli di chi l’ha molto abilmente confezionata. La figura che vi è impressa è simile a quella di Gesù così come lo voleva la tradizione pittorica medievale, per cui i casi sono due: o gli artisti sacri mediavali hanno avuto un culo spaventoso ad azzeccare le fattezze del Cristo mille anni dopo la morte senza averlo mai visto, oppure l’hanno fatta loro. E’ un dilemma che preferiamo lasciare insoluto, ognuno si affidi alla ragione, oppure alla fede, oppure al numero verde di tutela del consumatore di leggende che dovrebbe a questo punto apparirvi in sovrimpressione mentre leggete. Naturalmente ci sono molte altre teorie in proposito, non ultima che si tratti di un ritratto di Kabir Bedi realizzato per la produzione di Sandokan, ma questo contrasta con il passaggio nelle mani della dinastia Savoia, che in quel caso avrebbe senza dubbio venduto l’esclusiva a Tv Sorrisi e Canzoni o, alla peggio, a Gente.
Una grande sorpresa si ebbe comunque nel 1898, quando per la prima volta la Sindone fu fotografata. La sua immagine in negativo appare nitida e chiarissima: mostra il ritratto di un difensore mentre si dispone in barriera per una punizione a uno dal limite dell’area, ma anche in questo caso non ci sono certezze, né sull’anno del campionato, né sul risultato finale. A tal proposito, gli storici possono contare solo su alcune telefonate tra Barabba e Moggi, parte di un procedimento (quello sulla combine del derby Giordania-Galilea finito 1 a 1) ormai caduto in prescrizione, e Barabba era quello onesto.
Come tutti sapete, però, la scienza è una brutta bestia. Si intigna, si incattivisce, si ostina a volerci vedere chiaro. Nel 1988 un quadratino della Sindone fu spedito a tre laboratori indipendenti (Oxford, Tuxon e Zurigo) dove fu analizzata con il famoso esame del carbonio 14. Si tratta di un esame molto attendibile, quello che si usa per i fossili, per datare le ere geologiche e per sapere quanti anni ha Oscar Luigi Scalfaro. Ne risultò un responso unanime: tutti e tre i laboratori dissero che la Sindone fu realizzata tra il 1260 e il 1390. Un risultato strabiliante che esclude dunque che la Sindone possa essere sia il vero sudario di Cristo (morto almeno dodici secoli prima), sia l’asciugamano di Tardelli  dopo la finale Italia-Germania di Madrid (disputatasi tra sei e sette secoli dopo).
A questo punto, le aride menti illuministe potrebbero esser tentate di chiudere il caso, ma la risposta dei tifosi dell’autenticità del telo non si è fatta attendere. Secondo alcuni, infatti, i test sono giusti, per carità. Ma è il lembo di sindone analizzato che è sbagliato: per gli esami col carbonio sarebbe stato prelevato un quadratino della Sindone ritessuto in epoca successiva. Tu pensa che sfiga immensa: su 49.946 centimetri quadrati, cosa vai a pescare? Proprio quello ritessuto nel XIII secolo. Se fossimo in una buona puntata di CSI non sarebbero sbagliate le analisi, ma addirittura la scena del crimine e qualcuno di lascerebbe il posto, inseguito da quei bastardi degli affari interni.  Secondo il RIS di Parma, invece, è stato Vallanzasca e secondo Bruno Vespa, cher ostenta un plastico a forma di lenzuolo, Pietro Valpreda. E così, nonostante la scienza abbia detto la sua, rieccoci nel più fitto mistero.
Nonostante la Sindone di Torino sia molto famosa, essa deve subire la concorrenza di altre sindoni, magari meno popolari, ma ugualmente venerate nelle chiese cattoliche di tutto il mondo. La questione è controversa: se si accettassero come vere tutte le sindoni che vengono periodicamente esposte alla venerazione dei fedeli, significherebbe rileggere le sacre scritture e Gesù, invece che figlio di falegname, potrebbe essere il rampollo di un rappresentante della Zucchi.
Esiste per esempio il Sudario di Oviedo, probabilmente anche lui razziato durante le crociate e custodito nel duomo della città spagnola già dall’inizio dell’anno Ottocento. Quanto alla Sindone di Besançon, invece, pare sia comparsa quattro secoli dopo, nei primi anni del 1200, e fu distrutta durante la rivoluzione francese. La Sindone di Carcassonne è un velo di seta dell’XI secolo, mentre quella di Torino si è vista per la prima volta, sempre in Francia, a metà del 1300. Che comparissero così tante sindoni, tutte naturalmente sacre e autentiche, nel giro di così pochi secoli e tutte nella stessa zona, induce a diverse interpretazioni. Ne citiamo soltanto alcune: le agitazioni sindacali dei lavoratori dei magazzini di E-bay a cavallo del primo e del secondo millennio, che fecero casino con le spedizioni da Costantinopoli; i cinesi di Prato, già a quei tempi abili nella contraffazione e attivi nel comparto del tessile come odierni cinesi di Prato; il desiderio dei vari signorotti locali di farsi voler bene dal clero, cosa che procurava sempre ottimi appalti senza regolare gara.
E tutto questo senza nemmeno citare la sindone di Caduin e il sudario di Cahors. Ci sarebbe poi, a dirla tutta, il famoso Mandylion di Edessa, noto già nel VI secolo, trasferito a Costantinopoli, poi a Parigi, poi sparito misteriosamente. Una storia per cui si tirano spesso in ballo i Templari, la massoneria, la tata di Luigi IX di Francia e l’inventore del Camambert, anche se studi più recenti sarebbero concordi nel dare tutta la colpa a Murinho.
Come tutti possono vedere, la questione della Sindone è assai misteriosa e non abbiamo qui la presunzione di dire la parola definitiva. Certo, si tratta di un entusiasmante sfida tra la scienza e la fede. Molto probabilmente la Sindone è un ottimo manufatto confezionato tra il XII e il XIII secolo e questo è provato. Altrettanto probabilmente, i fedeli diranno che se ne fregano della scienza, e certamente è un loro sacrosanto diritto: gente che contesta Darwin, sostiene che il mondo ha seimila anni e che Adamo ed Eva passeggiavano insieme ai dinosaurim, volete che si tiri indietro davanti a un lenzuolo?  Quanto alla Chiesa che organizza l’ennesima ostensione, fa bene anche lei: il marketing consiglia un preciso posizionamento del prodotto e una fidelizzazione dei clienti, specie in momenti di crisi di fiducia del consumatore di miti e leggende. Non sia mai che accettino due fustini al posto di uno e che continuino, anche senza preti intorno, a vivere tutti felici e contenti.

Fonte: Alessandro Robecchi

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