Un viaggio nel mistero, mille interrogativi, questioni che la scienza  non sa spiegare nemmeno se pagata bene e in nero. Una leggenda che  diventa realtà, una realtà che rimane leggenda. Davvero la Sindone  custodita a Torino ha quasi duemila anni? E se sì, perché non ce lo dice  Piero Angela che c’era? E se no, da dove viene? Perché L’Ikea smentisce  anche se c’è attaccato lo scontrino? Da secoli la scienza si interroga  su questo mistero. E’ ora di vederci più chiaro.
La Sindone di Torino, la più famosa, è un lenzuolo di lino lungo  quasi quattro metri e mezzo (442 centimetri) e largo poco più di un  metro (113 centimetri), il che induce gli storici a rivedere tutte le  teorie sul basket fin qui note: nemmeno Magic Johnson aveva un lenzuolo  così lungo, e tutti sanno quanto gli avrebbe fatto piacere. E’ fatta di  lino tessuto a mano, il che per un certo periodo ha indirizzato le  indagini verso la popolazione più abbiente e provocato alcune  perquisizioni al Billionaire. Il fatto che non abbia gli angoli per  ripiegarla sul materasso (come le lenzuola più moderne) induce a  supporre che sia precedente al 1982, cosa che del resto soltanto un  cretino poteva pensare. 
Da anni la scienza si arrovella su questo  manufatto, che da qualche tempo è ritenuto sacro dalla comunità  cristiana. Non è stato sempre così, per la verità. Il primo papa che ne  autorizzò l’esposizione al pubblico fu Clemente VII che nel 1390 emanò  ben quattro bolle per dire che “la suddetta raffigurazione o  rappresentazione non è il vero Sudario del Nostro Signore Gesù Cristo,  ma una pittura o tavola fatta a raffigurazione o imitazione del  Sudario”. Stiamo parlando di sei secoli fa, il papa era preoccupato di  “far cessare ogni frode”, la Chiesa aveva molti beni materiali, non era  costretta a far cassa vendendo biglietti e visite guidate, e soprattutto  non era ancora stato inventato il marketing, per cui possiamo  considerare quelle parole inaffidabili o almeno ingenue. Papa Giovanni  Paolo II, invece, disse che si tratta di “una sfida per l’intelligenza”,  ma a quei tempi la perniciosa secolarizzazione della società non aveva  ancora preso il sopravvento, e ancora non era popolare il suduku, dunque  anche questa affermazione va presa con le pinze.
In ogni caso, i  pareri sono quasi concordi: la Sindone apparve per la prima volta a  metà del XIV secolo, posseduta da un tale Goffredo di Charny che era  andato a menare le mani in Palestina come andava di moda a quei tempi.  Non c’erano ancora le scuole pubbliche, e quindi gli atti di bullismo si  svolgevano in Terra Santa. Le scuole private esistevano, invece, e ne  uscivano bulli che andavano alle crociate.  Goffredo regalò la Sindone  ai canonici di Lirey, quindi se la riprese una sua erede, Margehrita di  Charny, che la vendette ai duchi di Savoia. Era il 1453, e qui  cominciano le dispute storiche: possibile che qualcosa di autentico sia  passato per le mani dei Savoia? Conoscendo la sensibilità della  dinastia, le macchie sul lenzuolo possono essere Nutella? Gli storici  sono assai scettici, comunque pare siano stati loro a portarla a Torino.  Resta il mistero – se si accetta che la Sindone sia il vero sudario di  Cristo – su dove diavolo sia stata per mille e trecento anni prima di  arrivare in Francia e di finire poi in mano ai Savoia, che con la loro  nota perizia rischiarono anche di bruciarla in un incendio a Chambéry  nel 1532. Secondo gli storici della monarchia italiana,m i Savoia non  usarono la Sindone per foderare le poltrone dello yacht per un solo  semplicissimo motivo: non avevano ancora lo yacht. 
Secondo fonti accreditate, il lenzuolo veniva da Costantinopoli, il  più grande deposito di reliquie del pianeta, il luogo da cui partivano  pacchi per ogni angolo del mondo. Secondo un vecchio giornale del posto e  dell’epoca (il Solis 24 Horae) il mercato delle reliquie era ai tempi  assai fiorente e subiva forti oscillazioni a seconda dell’avanzata dei  mori. In alcuni anni, in particolare, le dita dei santi triplicarono di  valore per poi assestarsi ad un prezzo medio accessibile per ogni  monastero europeo. Ma non fu tanto l’oscillazione dei prezzi a turbare  il mercato, quanto il fenomeno incontrollato della pirateria, per cui  oggi troviamo in giro per le chiese del mondo anche tredici-quattordici  dita dello stesso santo, quattro centinaia di chiodi della croce, crani,  denti, mandibole di beati che probabilmente in vita avevano sei  mandibole e 128 denti. Come vedete, cose che la scienza non può  spiegare, ma la questura di Costantinopoli sì: allora come oggi giovani  nordafricani occupavano i marciapiedi vendendo finte reliquie a poco  prezzo, merce che invase poi l’occidente con una forma di concorrenza  sleale assai perniciosa. Roma ladrona, ovvio, lasciava fare, ma restano  ancor oggi alcune incongruenze, come santi con due dita indici nella  mano destra, uno bianco e uno nero, oppure devoti con tre femori, per  non dire dei cinque nasi attribuiti tutti allo stesso santo, disseminati  per il mondo, alcuni dei quali in plastica recanti la scritta “made in  China”.
Tornando alla Sindone essa reca, come tutti sanno, alcune macchie  perfettamente simmetriche, dovute alla piegatura, all’incendio e forse  ai pennarelli di chi l’ha molto abilmente confezionata. La figura che vi  è impressa è simile a quella di Gesù così come lo voleva la tradizione  pittorica medievale, per cui i casi sono due: o gli artisti sacri  mediavali hanno avuto un culo spaventoso ad azzeccare le fattezze del  Cristo mille anni dopo la morte senza averlo mai visto, oppure l’hanno  fatta loro. E’ un dilemma che preferiamo lasciare insoluto, ognuno si  affidi alla ragione, oppure alla fede, oppure al numero verde di tutela  del consumatore di leggende che dovrebbe a questo punto apparirvi in  sovrimpressione mentre leggete. Naturalmente ci sono molte altre teorie  in proposito, non ultima che si tratti di un ritratto di Kabir Bedi  realizzato per la produzione di Sandokan, ma questo contrasta con il  passaggio nelle mani della dinastia Savoia, che in quel caso avrebbe  senza dubbio venduto l’esclusiva a Tv Sorrisi e Canzoni o, alla peggio, a  Gente.
Una grande sorpresa si ebbe comunque nel 1898, quando per la  prima volta la Sindone fu fotografata. La sua immagine in negativo  appare nitida e chiarissima: mostra il ritratto di un difensore mentre  si dispone in barriera per una punizione a uno dal limite dell’area, ma  anche in questo caso non ci sono certezze, né sull’anno del campionato,  né sul risultato finale. A tal proposito, gli storici possono contare  solo su alcune telefonate tra Barabba e Moggi, parte di un procedimento  (quello sulla combine del derby Giordania-Galilea finito 1 a 1) ormai  caduto in prescrizione, e Barabba era quello onesto.
Come tutti sapete, però, la scienza è una brutta bestia. Si intigna,  si incattivisce, si ostina a volerci vedere chiaro. Nel 1988 un  quadratino della Sindone fu spedito a tre laboratori indipendenti  (Oxford, Tuxon e Zurigo) dove fu analizzata con il famoso esame del  carbonio 14. Si tratta di un esame molto attendibile, quello che si usa  per i fossili, per datare le ere geologiche e per sapere quanti anni ha  Oscar Luigi Scalfaro. Ne risultò un responso unanime: tutti e tre i  laboratori dissero che la Sindone fu realizzata tra il 1260 e il 1390.  Un risultato strabiliante che esclude dunque che la Sindone possa essere  sia il vero sudario di Cristo (morto almeno dodici secoli prima), sia  l’asciugamano di Tardelli  dopo la finale Italia-Germania di Madrid  (disputatasi tra sei e sette secoli dopo). 
A questo punto, le aride  menti illuministe potrebbero esser tentate di chiudere il caso, ma la  risposta dei tifosi dell’autenticità del telo non si è fatta attendere.  Secondo alcuni, infatti, i test sono giusti, per carità. Ma è il lembo  di sindone analizzato che è sbagliato: per gli esami col carbonio  sarebbe stato prelevato un quadratino della Sindone ritessuto in epoca  successiva. Tu pensa che sfiga immensa: su 49.946 centimetri quadrati,  cosa vai a pescare? Proprio quello ritessuto nel XIII secolo. Se fossimo  in una buona puntata di CSI non sarebbero sbagliate le analisi, ma  addirittura la scena del crimine e qualcuno di lascerebbe il posto,  inseguito da quei bastardi degli affari interni.  Secondo il RIS di  Parma, invece, è stato Vallanzasca e secondo Bruno Vespa, cher ostenta  un plastico a forma di lenzuolo, Pietro Valpreda. E così, nonostante la  scienza abbia detto la sua, rieccoci nel più fitto mistero. 
Nonostante la Sindone di Torino sia molto famosa, essa deve subire la  concorrenza di altre sindoni, magari meno popolari, ma ugualmente  venerate nelle chiese cattoliche di tutto il mondo. La questione è  controversa: se si accettassero come vere tutte le sindoni che vengono  periodicamente esposte alla venerazione dei fedeli, significherebbe  rileggere le sacre scritture e Gesù, invece che figlio di falegname,  potrebbe essere il rampollo di un rappresentante della Zucchi. 
Esiste  per esempio il Sudario di Oviedo, probabilmente anche lui razziato  durante le crociate e custodito nel duomo della città spagnola già  dall’inizio dell’anno Ottocento. Quanto alla Sindone di Besançon,  invece, pare sia comparsa quattro secoli dopo, nei primi anni del 1200, e  fu distrutta durante la rivoluzione francese. La Sindone di Carcassonne  è un velo di seta dell’XI secolo, mentre quella di Torino si è vista  per la prima volta, sempre in Francia, a metà del 1300. Che comparissero  così tante sindoni, tutte naturalmente sacre e autentiche, nel giro di  così pochi secoli e tutte nella stessa zona, induce a diverse  interpretazioni. Ne citiamo soltanto alcune: le agitazioni sindacali dei  lavoratori dei magazzini di E-bay a cavallo del primo e del secondo  millennio, che fecero casino con le spedizioni da Costantinopoli; i  cinesi di Prato, già a quei tempi abili nella contraffazione e attivi  nel comparto del tessile come odierni cinesi di Prato; il desiderio dei  vari signorotti locali di farsi voler bene dal clero, cosa che procurava  sempre ottimi appalti senza regolare gara. 
E tutto questo senza  nemmeno citare la sindone di Caduin e il sudario di Cahors. Ci sarebbe  poi, a dirla tutta, il famoso Mandylion di Edessa, noto già nel VI  secolo, trasferito a Costantinopoli, poi a Parigi, poi sparito  misteriosamente. Una storia per cui si tirano spesso in ballo i  Templari, la massoneria, la tata di Luigi IX di Francia e l’inventore  del Camambert, anche se studi più recenti sarebbero concordi nel dare  tutta la colpa a Murinho. 
Come tutti possono vedere, la questione della Sindone è assai  misteriosa e non abbiamo qui la presunzione di dire la parola  definitiva. Certo, si tratta di un entusiasmante sfida tra la scienza e  la fede. Molto probabilmente la Sindone è un ottimo manufatto  confezionato tra il XII e il XIII secolo e questo è provato. Altrettanto  probabilmente, i fedeli diranno che se ne fregano della scienza, e  certamente è un loro sacrosanto diritto: gente che contesta Darwin,  sostiene che il mondo ha seimila anni e che Adamo ed Eva passeggiavano  insieme ai dinosaurim, volete che si tiri indietro davanti a un  lenzuolo?  Quanto alla Chiesa che organizza l’ennesima ostensione, fa  bene anche lei: il marketing consiglia un preciso posizionamento del  prodotto e una fidelizzazione dei clienti, specie in momenti di crisi di  fiducia del consumatore di miti e leggende. Non sia mai che accettino  due fustini al posto di uno e che continuino, anche senza preti intorno,  a vivere tutti felici e contenti. 
Fonte: Alessandro Robecchi

 
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